Il catalogo del riuso, per ora è nocivo

jacopo deyla
5 min readMay 16, 2019
Photo by Maria Teneva on Unsplash

A un giorno dal lancio del Catalogo del riuso, c’è il #GAAD (global accessibility awareness day) e una considerazione mi viene spontanea

Il nuovo catalogo del riuso favorirà la diffusione di soluzioni non accessibili: ma è legale?

Intendiamoci, io tifo per il Catalogo del riuso

Sollevare questioni sul Catalogo non ne incoraggia la diffusione, me ne rendo conto, ma se ci sono dei problemi, meglio correggerli subito. Quindi la mia critica è solo costruttiva perchè se sono critico sul Catalogo, è perchè ne sono davvero stra-contento.

Da quando collaboro con la Regione Emilia-Romagna, ho sempre sostenuto l’open-source perchè lo vedo come motore per l’economia informatica del territorio. La PA compra open -> le società informatiche locali si attrezzano per fornirlo -> quindi aumentano le competenze ai massimi livelli internazionali -> quindi aumentano la loro competitività e visibilità e si aprono ad altri mercati.

Tutti felici: miglioramento della qualità complessiva di tutti i componenti della filiera.

Ho partecipato alla selezione del CMS open della Regione, all’adozione di Openoffice, ho contribuito col mio lavoro a rendere più accessibile Plone, ma anche Matomo, perchè gli sviluppatori francesi, prima che collaborassero con noi, non sapevano nemmeno cosa fosse l’accessibilità.

Il Catalogo del riuso, come le Linee guida di design e tutti gli altri strumenti che han fatto nascere AGID e il Team digitale, sono quanti di meglio sperassi, e ne sono un grande fautore, ecco perchè devo sollevare una critica.

E’ legale?

La mia domanda, e non sono un giurista, è se non si è sottovalutata la questione.

La legge deve garantire il rispetto di sé stessa

E’ noto che dal 2004 circa, una PA debba dotarsi di software accessibile, di preferenza doveva farlo fino a pochi mesi fa, ora è un obbligo. E’ anche noto che l’acquisto (e quindi anche lo sviluppo a pagamento) di software non a norma, non sia ammesso, la responsabilità viene attribuita al dirigente che ha sottoscritto il contratto.

Quindi dovrebbe essere scontato che su un catalogo di software a riuso delle PA, possa finire solo software accessibile (e sicuro). Ma la realtà è sempre diversa, e oggi sul catalogo, alla sua apertura, ci sono 6–7 prodotti, uno dei quali a colpo d’occhio non è a norma: i colori non rispettano l’algoritmo.

Una schermata di un software pubblicato sul catalogo

Il difetto è minimo, ma crea una visibile non conformità.

Mostra la vulnerabilità dell’attuale soluzione “Catalogo” e apre importante questione di legalità e responsabilità.

Ripeto non sono un giurista, ma da profano, mi domando, con un processo logico elementare:

  • se è obbligatorio utilizzare il Catalogo del riuso per cercare una soluzione
  • e se il Catalogo del riuso offre soluzioni “illegali”,
  • è possibile costringere per legge una PA ad utilizzare una soluzione illegale?

Temo che la risposta sia no, e serva una soluzione, e la soluzione va cercata nella responsabilità.

Chi è responsabile?

La responsabilità pare che sia della PA che riusa, anche se chi l’ha fatto fare ne è titolare dei diritti, perchè alla domanda diretta: di chi è la responsabilità, mi han risposto

E mi dispiace, la risposta non mi soddisfa. Il “venditore”, l’intermediatore, è per forza responsabile, forse un avvocato potrebbe convincermi del contrario, ma credo di avere ragione e per quanto poco ne sappia di legge, sono certo che la responsabilità è in prima battuta del Catalogo (il venditore) e poi a salire del produttore (la PA che ha realizzato/fatto fare il software) e poi a salire fino allo sviluppatore.
Penso che il venditore, il Catalogo del riuso, ha solo due strade per uscirne:

  1. verifica le soluzioni prima di pubblicarle
  2. scarica la responsabilità sul produttore, chiedendo una sorta di certificazione di accessibilità e sicurezza da allegare al prodotto.

Forse dovrebbe farle entrambe e la 1 è probabilmente troppo onerosa. La 2 è un po’ antipatica, è forse la più corretta, ma non garantisce un bel niente.

La realtà è sempre un’altra

Siamo nel paese degli avvocati dove tutti cercano una carta per scaricare la responsabilità e pararsi il c… ma a me interessa il risultato, che il web sia accessibile, e delle garanzie e responsabilità me ne importa poco.

Ne avevo parlato qualche tempo fa con Claudio Celeghin, e gli avevo espresso il mio punto di vista, dopo avere verificato una prodotto poco usabile e anche un po’ inaccessibile. Una PA aveva fatto un bando per un software da acquisire come servizio, il produttore aveva portato il proprio esperto di accessibilità a spergiurare che la soluzione fosse a norma, ma alla mia verifica dei fatti, la PA ha sbattuto contro la dura verità. La PA si era preso il “pacco”, e si trovava nella brutta situazione di dover rimediare. Ha tutte le ragioni, probabilmente alla fine avrà il software a norma, ma nel frattempo qualcuno, qualche persona vera, subisce dei disagi, si trova nell’impossibilità di fare certe cose, e questo semplicemente non è giusto.

Oggi l’accessibilità, la sicurezza, e la qualità in generale, sono nascoste.

Git + Social (+ Usabilità)

Io avevo proposto a Claudio, di rendere evidenti le qualità, non tanto sul Catalogo, che quando ne avevo parlato non c’era, quanto sul MEPA. Il presupposto è semplice: oggi chiunque prima dell’acquisto controlla le opinioni degli altri acquirenti, dei forum di esperti, perchè non può essere lo stesso per il software della PA? Oggi basta dire lo usa il Comune di…., la Regione … e si ha subito credibilità. Poi se quel Comune o quella Regione maledicono gli sviluppatori ad ogni click, nessuno lo sa.

Ne parlavo con lui nell’ambito del GLU e quindi io partivo dall’usabilità, dalla necessità di andare addirittura oltre i semplici obblighi e rendere evidente se un software era semplicemente fatto bene. Suggerivo di far allegare un qualche report dei risultati con gli utenti, in modo da far cambiare la mentalità alle PA, e far capire loro che

il servizio non va semplicemente dato, va dato bene.

Git c’è e questo è un bene, almeno se le cose non vanno, o se c’è qualcosa che non va, lo si può scrivere da qualche parte e c’è qualcuno che se ne dovrebbe far carico. E questo è un punto a favore del Catalogo del riuso

Sulla questione social si potrebbe fare di più: ci sono le installazioni attive, ma c’è poco la voce degli utenti installatori (solo la lista), quelli utilizzatori non è nemmeno prevista e chissà se ci sarà mai.

Comprendo che a volte non sia opportuno far parlare direttamente gli utenti, si potrebbe almeno far parlare qualche esperto e qualche test, allegando innanzitutto un report di accessibilità, uno di sicurezza e poi uno di usabilità, con qualche compito ovvio, magari i principali.

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